I VALORI DEL CIVISMO E IL GOVERNO DRAGHI.
Europa, Autonomia, Competenza e Semplificazione sono stati i temi proposti dal Non Congresso di Alleanza Civica del Nord e ben tre su quattro sono anche gli assi portanti del discorso del Premier.
di Franco D'Alfonso*
Il discorso per la fiducia del presidente DRAGHI al Senato è il primo esempio di come affrontare la necessità di andare “Oltre lo specchio di Alice”, come nella metafora usata nell’ultimo libro di Piero Bassetti, dove lo specchio da infrangere sono le istituzioni novecentesche ingessate che vanno a carburo nell’epoca del digitale.
Il premier ha usato parole semplici per indicare problemi e concetti complessi, dalla collocazione internazionale del nostro paese alla necessità di riforme organiche in materia fiscale per arrivare alla irreversibilità delle scelte europee su euro e cessione di sovranità, mettendo fine alla stagione degli abolizionisti della povertà e degli italexit di governo; ha spiegato come i cambiamenti culturali e politici in atto nelle istituzioni dell’Unione Europea, a partire dagli ingenti fondi messi a disposizione con Next Generation possono ridisegnare le condizioni di vita e di lavoro dei prossimi decenni e non garantire il consenso per i prossimi dieci mesi; ha liquidato il dibattito sulle piramidi di consulenti di Conte senza neanche nominarle spiegando che si organizzerà mettendo insieme le competenze necessarie intorno all’uomo dei conti, il neoministro Franco; ha realisticamente individuato gli obiettivi possibili dell’azione del suo Governo, e cioè la redazione del Recovery Plan, la vaccinazione di tutti a partire dai soggetti fragili, il recupero dei tempi educativi persi, il sostegno all’economia ed al lavoro “buono”, un welfare mirato su povertà e differenza di genere, l’avvio di riforme organiche su fisco, lavoro, processo civile e pubblico impiego senza concessioni alla retorica della palingenesi del potere cui siamo stati abituati dai tempi del “nuovo miracolo italiano” di Berlusconi e dai suoi epigoni di destra, sinistra e centro che si sono susseguiti nei governi della Seconda Repubblica.
Esattamente la “gestione commissariale” e temporanea del sistema di cui abbiamo parlato, che lascia alla politica ( nel discorso di Draghi al Parlamento ed alle forze politiche ivi presenti) il compito di ristrutturare anche la politica, andando “oltre” anche nelle modalità e nell’organizzazione di questa importantissima funzione sociale.
Europa, Autonomia, Competenza e Semplificazione sono stati i temi proposti dal Non Congresso di Alleanza Civica del Nord e ben tre su quattro sono assi portanti del discorso del premier-dittatore (nell’accezione di Roma Antica, non della tragica parodia fascista ovviamente..): non possiamo quindi che dirci tutti “draghiani”?
Il tema del tutto assente dal discorso del premier, quello dell’Autonomia in qualsiasi accezione la si intenda, non è esattamente un dettaglio ed è un robusto e sano argomento per non cedere alla tentazione di unirsi ai cori turibolari che accompagnano più o meno lietamente perfino gli spostamenti in auto di Mario Draghi.
Quando in maniera sacrosanta, per esempio, il Primo Ministro squaderna l’assoluta necessità di mettere mano con riforma organica al sistema fiscale come fece Vanoni negli anni sessanta o Visentini negli Ottanta, il silenzio in merito alla finanza ed all’autonomia impositiva degli Enti locali e territoriali suona molto male e sinistro.
Veniamo da un decennio di centralismo amministrativo e politico che non si vedeva dai tempi della legge Rattazzi, imposto dalle strutture ministeriali del Bilancio Mef con il governo Monti che ha trasformato sindaci e amministratori locali prima in esattori per conto dello Stato e poi in assemblee di azionisti stile parco-buoi obbligate a votare le veline contabili preparate dai Ragionieri comunali e vidimate dalla Corte dei Conti, un sistema che perfino nell’anno del Covid ha portato le strutture centrali di Governo ad aumentare il debito pubblico di oltre 160 miliardi di euro mentre gli enti locali lo hanno ridotto (!) di 1,5 miliardi.
A fronte delle crescenti richieste derivanti dalle successive crisi su welfare, sanità, asili nido, mobilità, con un’autonomia impositiva inferiore al 2 per cento delle entrate totali e con un peso sul totale del debito pubblico che nel 2011 era circa il 7 per cento, negli ultimi dieci anni gli enti locali hanno ridotto i propri debiti di quasi 15 miliardi, pesando ora per meno del 4 per cento sulla montagna debitoria pubblica, nonostante una serie incredibile di norme, regolamenti e prassi che impedisce, per esempio, al Comune di Milano di rinegoziare o addirittura di chiudere anticipatamente il proprio debito senza autorizzazione, sistematicamente negata, della Ragioneria dello Stato!
Chiunque, e prima di tutti certamente Mario Draghi, capisce che qualsiasi riforma non può essere gestita da uno Stato centrale che lustra il santino di Quintino Sella e vagheggia la ricentralizzazione di qualsiasi funzione, magari grazie alla “digitalizzazione”, dimostrando di essere rimasto alla parte sbagliata del romanzo “1984” di George Orwell, quella del Grande Fratello che tutto controlla.
Proprio Mario Draghi appena prima del suo insediamento alla presidenza della Bce nel 2011 indicava nel federalismo fiscale, sul modello tedesco, la via per migliorare l’efficienza della PA ed avere una condivisione ampia e consapevole di qualsiasi politica, come antidoto alla deriva populista che già allora era ben visibile come incombente e montante.
Ecco, sarei stato molto più tranquillo se anche nel 2021 Draghi avesse citato Altiero Spinelli e non il conte Cavour, come dice il prof. Cacciari: e proprio perché penso e spero che la sua sia più in realtà una dimenticanza, anche se grave e pericolosa, credo che il nostro ruolo sia quello di ricordare, a tutti i livelli, come una opera di ricostruzione istituzionale, politica e sociale, non possa che partire dalle comunità locali.
Non è una opzione, è l’unica strada, anche per “SuperMario”.
*Presidente “Alleanza Civica del Nord”