"Arriva a Giugno il decreto di Maggio,
scritto in Aprile e pensato a Marzo,
per una crisi iniziata a Febbraio
e conosciuta da Gennaio,
che al mercato mio padre comprò..."
Difficile dare valutazioni tempestive e precise sul decreto di emergenza che, partito per essere denominato “aprile”, poi “maggio” rischia seriamente di diventare “quattro stagioni”, nel senso che è piuttosto probabile che tra “salvo intese” e norme attuative sarà difficile capire il contenuto e la portata effettiva di questi provvedimenti prima della presentazione delle collezioni autunno-inverno della moda…
D’altro canto è ormai questa la prassi consolidata, annunciare i provvedimenti del Governo attraverso una conferenza stampa che anticipa la discussione fra gli uffici, l’incredibile promulgazione di decreti che più che provvedimenti sono il sommario dell’enciclopedia Treccani , l’abuso della delega attuativa che ormai ha finito per postergare l’esercizio del potere legislativo, unite con il pandemonio costantemente generato dalle riunioni fra tecnici dei ministeri , della presidenza del consiglio, dei comitati di consulenza e vari ed eventuali – con l’esclusione degli esperti politici e di partito, categoria ormai estinta di cui si sente talmente tanto la carenza che se ne attribuisce la qualifica a chiunque passi per strada, sempre che non li si sia fatti già ministro come al fu Toninelli o alla mitica Laura Castelli .
Prendendoci tutti i rischi di essere smentiti dal prossimo tweet di Casalino, proviamo a fare comunque qualche valutazione, a partire sull’entità della manovra. Si tratterebbe di 55 miliardi ( ma il Mise ha fatto uscire un comunicato nel quale parla di 155 miliardi, forse riferendosi al triennio 20-23), interamente a debito , che andrebbero a sommarsi ai 25 miliardi del Cura Italia. Posto che la cifra risultante di 80 miliardi sia reale e non sia come la versione da operetta del bazooka di Draghi che il premier Conte ha sparato nella televendita precedente dei “400 miliardi di crediti subito”, si tratta di una manovra molto importante, pari ad oltre il 4 % del Pil dello scorso anno.
Certo, molto meno che quanto messo già in campo direttamente da Germania o Usa, ma sarebbe ora che ci rendessimo conto del fatto che il lock down più che una vacanza forzata è una legnata assestata ad una economia ed un bilancio pubblico dai polmoni disastrati ben prima di ospitare il covid 19.
Una prima valutazione di merito specifico ci dice che anche questa manovra è quasi per intero destinata al ristoro del reddito perduto e all’assistenza a povertà e fragilità. Buona la stima della perdite di Pil per il lock down fatta dallo Svimez – che è il riferimento politico culturale dell’asse di governo Pd-5stelle – di 47 miliardi al mese, si tratterebbe di un intervento ben più che significativo : anche considerando una leva ridotta di questa tipologia di interventi, se fossero erogati nei tempi non ancora previsti e nelle modalità sognate, il Pil indotto sarebbe abbondantemente superiore a quello perso nei tre mesi.
Il grosso dell’intervento pare destinato agli ammortizzatori sociali, ai redditi di emergenza, alla riduzione delle tasse sull’impresa (quattro miliardi per l’Irap di giugno) ed ai contributi a fondo perduto per le Pmi (sei miliardi) , con ulteriore aiuto sulla liquidità più o meno immediata che potrebbe venire dai 12 miliardi assicurati agli enti locali ( non si sa ancora in che forma, se crediti o, piuttosto improbabile, fondi di dotazione) per il pagamento dei debiti pregressi.
Da questa operazione ristoro temo finiscano per essere sostanzialmente escluse le amministrazioni locali, destinatarie di fondi di ristoro per riduzione entrate per circa 4 miliardi. Se si considera che il solo Comune di Milano accuserà riduzione entrate correnti per quasi 600 milioni e che questi fondi sembrano dover finanziare il taglio deciso di alcuni canoni e tasse comunali come Cosap e Imu su alberghi ed altri immobili commerciali, non è difficile prevedere un’altra lunga e difficile stagione di mal di testa e notti insonni per sindaci ed assessori al bilancio. Non mancherà la consueta beffa per i cosiddetti Comuni “virtuosi” , che non beneficeranno dei fondi per pagare i debiti che non hanno accumulato, riceveranno fondi in proporzione alla popolazione e non alle perdite sofferte, e non pare riceveranno grandi risposte sulle richieste di flessibilità ed autonomia gestionale.
Importanti ma ingiudicabili per carenza di informazioni i 5,5 miliardi per la sanità , l’altro importante intervento sembra essere quello sull’ecobonus, che “vale” circa 3 miliardi all’anno per il prossimo triennio.
I fondi destinati al “rilancio” appaiono ad una prima lettura suggestivi come titoli ( 1,4 per la ricerca, 1,5 per la scuola ) ma è ancora troppo presto per poter giudicare sulla corretta destinazione, viste le esperienze non confortanti del passato e soprattutto sui tempi e le modalità di erogazione : il fantasma dei concorsi, dei ricorsi e degli annullamenti al Tar sono elementi strutturali di questo mondo da troppo tempo per poterli ignorare..
Infatti nemmeno questa volta l’Ucas-Ufficio Complicazioni Affari Semplici è stato smantellato o almeno limitato : nessuna procedura eliminata, molte aggiunte.
Ma su tutto aleggia il pacato e triste buonsenso del vicepresidente Ue Timmermans, un grande e vero amico dell’Italia, che in una intervista alla Stampa ammonisce “se usiamo tutti i soldi per superare la crisi, non resterà nulla per il dopo” e che “è il tempo di una nuova politica industriale europea”.
Timmermans sembra l'unico a ricordarsi che l'epidemia non è aver vinto la lotteria e che è iniziata la grattatio capitis sul futuro. Prima ci sintonizziamo sulla lunghezza d’onda europea, meglio sarà.