Più che Recovery fund dovremmo cominciare a chiamarlo con il suo vero nome, cioè: Reforms fund.

Più che Recovery fund dovremmo cominciare a chiamarlo con il suo vero nome, cioè: Reforms fund.

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ABBASSO IL PIANO MARSHALL

Più che Recovery fund dovremmo cominciare a chiamarlo con il suo vero nome, cioè: Reforms fund. 

Il Recovery fund è al centro, è IL CENTRO della politica presente e futura. Non c'era bisogno della schiettezza della Ministra Cartabia: per avere una idea 'drammatica' del Recovery bastava leggere bene (senza paraocchi!) i primi due capitoli. 

Se si è sgombri da paragoni senza senso (tipo il Recovery è come il piano Marshall...) ci si rende benissimo conto che la questione che si pone è molto semplice.

E cioè: No Reforms? No Recovery!! 

Lo dice in modo provocatorio, ma in maniera molto efficace questo articolo del nostro Alberto Grandi, uno stralcio di una relazione che sarà presto al centro del nostro dibattito interno.

ABBASSO IL PIANO MARSHALL!!

Alberto Grandi 10x10 72px di Alberto Grandi

Insomma, il punto debole, logico più che tecnico, sta proprio in quel parallelismo, proposto in pratica da tutte le forze politiche e, in qualche misura da Draghi stesso, tra PNRR e Piano Marshall. Ma l’Italia del 2021 non è l’Italia del 1948. Il ritardo infrastrutturale, che sicuramente registriamo nel Paese rispetto agli altri Stati con un paragonabile tasso di sviluppo, non è tale da giustificare l’ormai cronica stagnazione economica. Se nel 1948 qualsiasi strada, ferrovia, ponte, porto o aeroporto in più avrebbe avuto un impatto positivo per definizione, oggi tale esito è tutt’altro che scontato, anzi, in alcuni casi potrebbero innescarsi processi opposti, come dimostrano le acute osservazioni di Francesco Ramella sugli investimenti previsti nel PNRR per la decarbonizzazione delle ferrovie.

L’idea stessa che questa pandemia e la conseguente crisi economica siano paragonabili alla II GM e all’immediato dopoguerra è sbagliata. Tutta la struttura economica, non solo quella italiana, è completamente differente; di conseguenza gli effetti della crisi e gli strumenti per affrontarla sono diversi.

(...)

Allora diciamolo chiaramente, all’Italia di oggi non serve un Piano Marshall, paradossalmente serve l’esatto contrario. Nel 1950 c’erano 900.000 dipendenti pubblici, oggi ce ne sono 3 milioni e mezzo. Non so se siano troppi o troppo pochi per le competenze che ha nel frattempo assunto la PA, non è questo il tema! 

Ma so che la burocrazia tende ad alimentare sé stessa: ciò che era semplice e deregolamentato nel 1950, è diventato complesso e iper regolamentato (spesso anche dal codice penale) nel 2021. 

Io partirei da qui per immaginare un’Italia più ricca, più inclusiva e più green. 

Questo è solo l’aspetto più evidente, più immediatamente percepibile dell’importanza delle riforme prima che degli investimenti. 

Ma se davvero, come sembra, la pioggia di ipotetici miliardi è quasi la carota per costringere la politica, tutta la politica, ad accettare il bastone pesantissimo delle riforme, ad assumersi responsabilità che non si è mai assunta, se non, forse, proprio all’epoca del Piano Marshall, cerchiamo di andare al cuore di questo programma; a quel cuore che lo stesso Draghi, forse per pura tattica, preferisce celare nel capitolo due del PNRR, ma che invece ne costituisce l’unica essenza.

Fin dalle prime righe della sua premessa, Draghi sembra fare propria una delle poche cose che ci ha insegnato il New Deal rooseveltiano e cioè che la ripresa economica non può derivare direttamente dalla spesa pubblica, ma che questa debba essere finalizzata all’incremento degli investimenti privati, altrimenti sono soldi buttati!! (...) Continua a leggere.

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