L'opportunità dei fondi del PNRR sia un'occasione per esprimere una vera capacità innovativa e non una semplice razionalizzazione dell'esistente. Regione Lombardia ha di recente varato una riforma che introduce alcune novità in termini di potenziamento della medicina territoriale. L'auspicio è che gli orientamenti espressi non si limitino a interventi sulle strutture, ma agiscano nel profondo, a cominciare dal livello culturale. Gli annosi limiti, che la pandemia ha solo portato a galla, rendono imprescindibile un cambio di paradigma: bisogna passare dalla sanità alla salute. Ciò significa uscire dalle logiche prestazionistiche e privatistiche del mercato per mettere realmente al centro di tutto la persona e la comunità.
È in primis la Costituzione a stabilire come la salute sia un diritto universale.
È l'OMS a ribadire l'importanza fondamentale dei determinanti sociali di salute: l’abitare, la cultura, la scuola, il lavoro, il tempo libero, il sociale, la gestione delle pene, la tutela dell’ambiente e tanto altro ancora. Perché la salute non è semplicemente assenza di malattie o infermità, ma uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale che ha nella comunità di riferimento della persona il primo ambito di vita dove agisce la salute della persona stessa.
Ecco allora l'idea della Casa della comunità come luogo che si fa carico della persona in quanto tale, a prescindere dal bisogno di cui è portatrice. Una persona non è la sua malattia o la sua diagnosi.
Una Casa della comunità che, come scrive la riforma lombarda, costituirà il "punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie" rischia di riprodurre la logica del poliambulatorio. E non è così, a mio avviso, che si rivitalizzano i territori.
Casa della comunità, come la immaginano molti enti e studiosi riuniti nell'associazione "Prima la comunità" di cui faccio parte, è quel luogo dove la comunità diventa protagonista del benessere della persona rimettendo in gioco la presenza della cittadinanza attiva, a partire dal ruolo del Terzo settore e del volontariato oltre che degli enti locali e di tutte le agenzie sociali che agiscono su un territorio. Ed è anche quel luogo dove fare innovazione e sperimentare nuovi strumenti come il budget di salute, le micro-aree o gli strumenti di telemedicina e dove immettere nuove professionalità come l'infermiere di comunità. Il tutto recuperando il valore della prossimità con i più deboli e fragili come punto di partenza strategico per far sì che il diritto alla salute sia realmente un diritto universale.
È quindi quel luogo dove sociale e sanitario si fondono per superare un'ormai anacronistica separazione perché delle autentiche politiche sociali sono in primo luogo politiche di salute e viceversa.
Ridurre il dibattito sulle Case della comunità soltanto a dove collocare dei poliambulatori sarebbe sciupare una possibilità, forse irripetibile, di rivitalizzare davvero la medicina territoriale e rispondere così ai reali bisogni delle persone.